It's not my fault if in God's plan he made the devil so much stronger than a man.

Rick & Doireann

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    Se non era un disastro quello accaduto qualche tempo prima alla festa a tema, non sapevo proprio cosa avrebbe potuto esserlo. Praticamente ci era crollata la casa in testa ed era un miracolo che mi fossi accorto in tempo di qualcosa che non andava e avevo fatto in modo che tutti uscissero dalla villa. Io e mia sorella eravamo solo demoni per metà ma insieme eravamo stati capaci di combinare una catastrofe che i semidei non si sarebbero dimenticati facilmente. La cosa peggiore era stata il non essere riusciti a controllare tutta l'escalation di eventi pericolosi scatenati dai nostri poteri fino a qualche tempo prima sopiti. Vetri che esplodevano, fiamme che divampavano, pareti che cominciavano a tremare erano solo alcuni degli elementi che avevano portato quella festa alla disfatta. Cioè, non che mi preoccupassi eccessivamente dell'esito della festa, il problema era tutto il resto: era il non sapere come contrastare tutto quello, era la reazione che avrebbero avuto i nostri compagni al campus, era il non sapere precisamente perché ci stesse succedendo tutto quello. Della casa un po' mi spiaceva, dovevo ammetterlo, ma era piuttosto prevedibile che i nostri genitori ce ne avrebbero fatta tirar su una nuova ancor più sfarzosa di quella divorata dalle fiamme.
    Ma la cosa peggiore, per me, era Doireann. Era il non saper come spiegarle tutto quello -quando in realtà era già difficile che lo capissi io stesso-, era la paura di non vederla più. Non mi sarei sorpreso se si fosse spaventata a morte quella sera e visto che l'accaduto era finito su tutti i giornali e ai notiziari del giorno successivo -sebbene il tutto fosse stato inteso come un catastrofico incidente domestico- mi aspettavo qualunque cosa. L'assedio dei giornalisti era stato pressante per tutti i giorni successivi e io non avevo mai desiderato così tanto di emigrare su un altro pianeta e sparire per sempre. Non volevo essere ricco, non volevo essere figlio di creature bizzarre che stavano rendendo la mia vita un inferno, non volevo niente di tutto ciò che ero. Avrei voluto parlare con Doireann per darle una spiegazione un minimo credibile ma ciò che c'era dentro di me era diventato troppo instabile e pericoloso: la mia paura più grande era che si risvegliasse quando lei era con me e che questo potesse ferirla. Mi ero chiuso completamente in me stesso e avevo deciso di tenerla lontana da me. Avevo deciso di tenere chiunque lontano da me, anche nostri genitori adottivi che avevano insistito per un ritorno a New Orleans mio e di Kira. Mi ero fermamente opposto a quest'eventualità, primo perché non volevo che fossero in pericolo e secondo perché speravo che gli insegnanti del campus potessero aiutarci in quella situazione atroce. Erano le persone più competenti a cui rivolgersi, le uniche che potessero trovare una soluzione per noi o, se non questo, almeno contrastarci.
    Eravamo quindi rimasti al campus ma eravamo sotto stretta osservazione e le voci ovviamente non avevano tardato a volare a velocità incontrollata, saltando di bocca in bocca. La maggior parte dei miei compagni aveva tutta l'aria di temermi e io non potevo che comprenderli: al posto loro mi sarei tenuto al largo anch'io. E dire che ancora mi chiedevo dove fosse Persefone e se si fosse accorta di tutto quello che stava succedendo.
    Ma certo che se n'è accorta, è una dea. Eppure non interveniva: rimaneva in silenzio ad osservare i suoi figli che venivano manipolati come marionette dal demone con cui li aveva generati.
    Mi sentivo orrendamente in colpa per tutto quello. Mi sentivo un mostro, un pericolo, un essere instabile da temere. Mi sarei voluto strappare da dentro quei poteri e sotterrarli in una buca profonda. Nemmeno uscivo più molto, passando la maggior parte del mio tempo a pensare. Io e Kira avevamo ricevuto delle stanze separate dal resto del dormitorio e praticamente quelle quattro mura erano diventate il luogo in cui trascorrevo la mia giornata. Ma non mi chiudevo in meditazioni serene, il più delle volte mi ritrovavo a dover attraversare momenti molto dolorosi, in cui combattevo per contrastare le voci nella mia testa e l'istinto di distruggere tutto ciò che mi circondava. Era una lotta con me stesso, era ciò che di peggiore mi fosse mai successo: sopprimere quei poteri che minacciavano di esplodere da un momento all'altro. Non era facile e io, ovviamente, mi sentivo una mina vagante.
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    →HYBRID →17 ANNI →SCHEDA No matter what kind of tomorrow comes, I'll still want to move on©
    Era una fortuna che i suoi genitori le avessero creduto quando aveva detto che l'incendio in cui era rimasta coinvolta era stato causato da uno stupido incidente. Un ragazzo aveva urtato un candelabro, e la candela era andata ad impigliarsi nei drappeggi di una tenda, che aveva inevitabilmente preso fuoco. Anche i media avevano più o meno confermato quella versione, col fortunato risultato che non l'avevano segregata in casa, come facevano sempre e giustamente quando faceva qualcosa di incredibilmente stupido. Non avrebbe potuto negare di essere stata nel luogo dell'accaduto – al di là del fatto che i suoi abiti si erano impregnati dell'odore acre del fumo, avrebbe dovuto spiegare graffi, lividi e bruciature -, ma allo stesso tempo non poteva di certo raccontare loro quel che era effettivamente successo. Se avesse detto la verità, altro che ospedale. Come minimo l'avrebbero fatta internare in un qualche istituto psichiatrico, legato la chiave ad un peso e gettata nell'Hudson in modo che nessuno potesse più farla uscire, altroché.
    Visto e considerata l'invasione di giornalisti che Rick e sua sorella avevano avuto, aveva preferito far passare qualche giorno prima di tempestarlo di telefonate. Voleva assicurarsi che stesse bene e che nessuno lo avesse circondato armato di torce e forconi. E avrebbe anche voluto che le spiegasse cos'era effettivamente successo a quella festa, perché ancora non riusciva a capire. Era tutto così assurdo per lei, che di demoni, semidei e simili non ne sapeva nulla, che faticava a credere a quello che aveva visto e vissuto in prima persona. Ciò di cui era assolutamente certa, e ci avrebbe scommesso anche la testa, era che Rick si fosse spaventato molto più di lei. Certo, si era presa un bello spavento, ma se il cuore non aveva ceduto non aveva motivo di lamentarsi. Lui invece le era sembrato come un bambino terrorizzato, consapevole di aver fatto una cosa orribile ma incapace di spiegarne il motivo.
    Doireann era perfettamente consapevole del fatto che avrebbe risolto poco o niente, ma voleva stargli vicino e assicurargli che andava tutto bene. Certo, le avrebbe reso le cose più facili se si fosse degnato di risponderle. Ma quello che di certo non mancava alla ragazza irlandese erano la determinazione e la testardaggine. Sapeva che viveva in una sorta di collegio esclusivo, o qualcosa del genere, ed era comunque un inizio. I giornali non avevano accennato il ritorno dei due gemelli Stormborn McFly a New Orleans, quindi supponeva che fossero ancora a New York. Aveva fatto le sue ricerche, e grazie al cugino di un conoscente del nipote della sorella di un collega del genitore di una ragazza che diceva di aver frequentato lo stesso campus, era riuscita a scoprire dove si trovasse, e quel giorno aveva avuto la splendida – così la definiva lei, ma sul fatto che lo fosse effettivamente qualcuno avrebbe probabilmente avuto da ridire – idea di presentarsi lì. Di certo era molto diverso da qualunque cosa avesse immaginato quando Rick le aveva parlato di 'college esclusivo', ma chi era lei per giudicare?
    Arrivò davanti a quella che doveva essere l'entrata senza sapere cosa fare. Probabilmente non le avrebbero nemmeno permesso di entrare per vederlo. Onde evitare guai, prese il telefono e compose il numero di cellulare di Rick – aveva tentato di chiamarlo così tante volte nell'ultimo periodo che ormai l'aveva imparato a memoria. Dubitava che le avrebbe risposto proprio quel giorno, ma avrebbe sempre potuto lasciargli un messaggio nella segreteria. E poi gli avrebbe lasciato anche un sms, magari quello l'avrebbe letto. Cominciò a parlare non appena il classico 'tuuu tuuu' si interruppe, senza nemmeno sapere se Rick le aveva risposto o se era semplicemente scattata la segreteria telefonica. « Ciao Rick, sono Donnie. So che è tipo la millesima volta che ti chiamo, ma tu non mi rispondi mai, e allora insisto. Volevo solo sapere se stai bene, o se perlomeno sei ancora tutto intero. Ah, e sono fuori dal tuo college, o campus, o quel che è. E se non vieni fuori entro un quarto d'ora, trovo il modo di fare irruzione e vengo a scovarti, che ti piaccia oppure no. Ah, e mi devi una ricarica del cellulare come punizione per avermi fatta preoccupare, spero inutilmente. A tra poco. » disse, quindi chiuse la chiamata e rimase lì, in attesa.
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    Avevo ricevuto un numero tale di chiamate e messaggi da parte di Donnie che, ne ero certo, di lì a breve il mio cellulare sarebbe come minimo esploso. Avevo immaginato che fosse una persona tenace, anche se il suo aspetto suggeriva un'angelicità fuori dal comune, ma non di certo fino a quel punto. Io dal canto mio ero testardo ma non troppo: di solito ero anche fin troppo accondiscendente nei confronti degli altri, tanto che a farla franca era quasi sempre mia sorella Kira. Quella volta però mi ero ripromesso di rimanere fermo sulla mia decisione di tenerla alla larga e non lo facevo di certo con piacere: ero stato io ad approcciarmi per la prima volta a lei, ero stato io a farmi avanti per continuare a frequentarla e avevo rischiato di mettere in pericolo la sua vita.
    Non c'era mai stato un momento in cui avevo pensato che la mia natura potesse precludermi dei rapporti con altre persone: ero sempre stato piuttosto convinto di potermela cavare, di poter gestire ogni cosa e uscirne illeso ma da quando stavano avvenendo tutte quelle assurdità mi era piuttosto difficile crederlo e temevo che il mezzo demone dentro di me avrebbe rovinato la mia vita. Ero certo che anche ad Ananke fosse giunta la notizia di quello che era successo, nonostante non fosse presente alla festa; anche lei era una delle persone che avrei fatto meglio a tenere lontane da me. Avere sulla coscienza la vita di qualcuno era davvero qualcosa di cui non avevo bisogno e sapevo che, nonostante fossi figlio della regina dell'Ade e di una creatura tremenda quale un demone, la cosa mi avrebbe distrutto. Non sentivo il perverso desiderio di sperimentare la morte degli altri e questo forse mi rendeva un anomalia nel mio genere ma non volevo che quell'eventualità prendesse il sopravvento su di me e per questo avrei lottato fino all'ultimo affinché non accadesse.
    Ero perfettamente consapevole del fatto che Donnie avrebbe potuto arrabbiarsi con me, detestarmi, magari soffrire per la mia improvvisa sparizione- non potevo dirmi soddisfatto all'idea di saperla infelice ma non potevo negare a me stesso che essere benvoluto da lei mi compiacesse- ma sapevo anche che quella lontananza sarebbe stata la cosa migliore. Eppure non riuscivo a togliermela dalla testa. Ci stavo provando in tutti i modi ma lei era sempre lì, con la sua parlantina, i suoi ricci castani e il suo meraviglioso sorriso, sempre lì nella mia testa a rendere quella scelta ancor più difficile di quanto già non fosse.
    Stavo giusto pensando freneticamente a tutte queste cose, quando il cellulare suonò per l'ennesima volta. Me ne stavo sdraiato con una mano sotto la nuca, fissando il soffitto con due occhi che dovevano sembrare piuttosto sbattuti per uno che era sempre stato attivo ed energico. Quando mi capitava di passare davantia allo specchio di sfuggita, a stento mi pareva di riconoscermi in quel riflesso spiritato. Mi sembrava che Kira la stesse gestendo meglio di me, forse perché lei se la cavava meglio nel controllare la sua natura di mezzo demone ma per quel che mi riguardava, quel conflitto interiore mi stava disintegrando in ogni modo.
    Avevo distolto gli occhi dal soffitto solo quando si era attaccata la segreteria telefonica, ruotando la testa sul cuscino:
    « Volevo solo sapere se stai bene, o se perlomeno sei ancora tutto intero. Ah, e sono fuori dal tuo college, o campus, o quel che è. E se non vieni fuori entro un quarto d'ora, trovo il modo di fare irruzione e vengo a scovarti, che ti piaccia oppure no» scattai seduto, improvvisamente allarmato.
    Era Donnie -e di questo non mi sorpresi più di tanto- che diceva di trovarsi fuori dal campus. Come diavolo aveva fatto a trovarlo? Mi sentii immediatamente inquieto e mi gettai giù dal letto, precipitandomi fuori dal dormitorio per raggiungere l'ingresso del campus:
    « Donnie! » avevo esclamato tra i denti, stringendo le mani intorno alle sbarre del sontuoso cancello che ci separava:
    « Ma cosa... come...» volevo sembrarle un minimo deciso ma alla fine scossi solamente la testa, arreso:
    « Devi andare via, ok? Se ci tieni un po' a me... va' via.» conclusi, le sopracciglia aggrottate in un'espressione severa.
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    DOIREANN KEEGAN

    →HYBRID →17 ANNI →SCHEDA No matter what kind of tomorrow comes, I'll still want to move on©
    Non aveva smesso di pensare a Rick e a quel che era successo fin dalla sera della festa. Ai suoi occhi era stato tutto incomprensibile. Cercava di dare una spiegazione razionale a quello che aveva visto, ma non ne aveva trovata nemmeno una che fosse degna di esserlo. Le tornavano in mente le parole che Sir Arthur Conan Doyle aveva messo in bocca al suo Sherlock: 'una volta escluso l'impossibile ciò che resta per quanto improbabile non può che essere la verità'. Solo che per lei era il contrario: aveva escluso il possibile, e quel che le rimaneva era l'impossibile. L'esistenza di persone con poteri sovrannaturali, o di spiriti maligni che prendevano possesso delle persone, o di qualunque cosa si fosse trattato l'avevano spesso stuzzicata, ma pensare che fosse reale non le era mai passato per la testa. Eppure, quello che aveva vissuto quella notte non poteva spiegarsi in nessun altro modo. E avrebbe voluto avere delle risposte da Rick, ma non l'avrebbe costretto a dargliene, se non l'avesse voluto.
    Fortunatamente non dovette aspettare a lungo perché il ragazzo si facesse vivo, anzi, ci mise molto meno tempo di quanto avesse immaginato. Doveva essere davvero volato – oppure si trovava casualmente nei pressi del cancello d'ingresso, chissà. Era comunque contenta di non dover trovare un modo per scavalcare quell'ammasso di sbarre di ferro.
    « Devi andare via, ok? Se ci tieni un po' a me... va' via.»
    Sentendosi dire quelle parole, Donnie dovette ammetterlo, ci rimase un po' male. Certo, se le aspettava, ma non per questo erano meno dolorose. Sperava fosse felice di vederla, di sapere che nonostante tutto... ci teneva a lui. Ma decise di non darlo a vedere, come non dava a vedere molte altre cose.
    Corrucciò la fronte, in un'espressione che doveva essere simile a quella assunta da Rick. « Ma come? Faccio il diavolo a quattro per riuscire a trovare la tua scuola, o college, o quel che è, e quando ci rivediamo per la prima volta dopo settimane, la prima cosa che mi dici è di girare al largo? » gli disse con un tono di rimprovero. Non era cattiveria, somigliava più ad una maestra che rimproverava uno dei suoi piccoli alunni per qualche simpatica marachella che aveva combinato.
    « Andiamo con calma, una cosa per volta » ed era buffo che fosse proprio lei a dirlo. « Prima di tutto, ciao Rick. Anch'io sono molto felice di vederti, e sono anche contenta di vedere che sei tutto intero. Non ho detto 'in ottima forma' perché mentirei, sei in uno stato pietoso. Penso che se avessi avuto un incontro con una ventina di lottatori di wrestling avresti una cera migliore, ma capisco che con quello che è successo tu ti senta da schifo. Anche se non ho ben capito cosa sia effettivamente accaduto, ma non sei costretto a dirmelo se non vuoi o non puoi. Sono ragionevole io, non come un certo qualcuno che ignora le mie chiamate da settimane, facendomi preoccupare. Mi sarei accontenta anche di un messaggio striminzito del tipo 'sono vivo, ma non ho voglia di parlare', giusto per essere almeno sicura che nessuno avesse cominciato a darti la caccia armato di torce e forconi. »
    Si interruppe solo perché sentì l'impellente necessità di un apporto di ossigeno ai polmoni – era lunga la strada da casa sua a quel posto, e il viaggio, fatto per grandi pezzi a piedi, l'aveva affaticata un po'. Non ti illudere Rick, è solo stanca, non è che la sua parlantina sia diminuita. Tentennò un po' rima di ricominciare con il suo lungo discorso, infilandosi le mani infreddolite nelle tasche del giubbotto. Lo guardava come se stesse cercando attentamente la cosa giusta da dire e il modo migliore per farlo. Prima si era limitata a sputare fuori mille frasi che nella sua frase avevano un senso logico e un filo conduttore, ma lì non si trattava di lei, ma di Rick. Non le sembrava stare poi così bene, era troppo pallido e magro, quando fino a poco tempo prima sembrava il ritratto della salute.
    Inspirò a fondo, come se volesse dire che non sapeva proprio cosa fare con lui. « Ascolta. Non ti vedo bene per niente, e scommetto che non hai messo piede fuori dalla tua stanza dal momento in cui sei tornato qui dopo quel che è successo. Quindi ora torni in camera e ti rendi presentabile, poi mi raggiungi e andiamo a fare due passi qua attorno. Non dobbiamo per forza parlare di quel che è successo, ma voglio che almeno per un momento tu smetta di pensarci, perché è chiaro che non hai fatto che tormentarti sull'accaduto. Dopodiché, se vuoi che non ti chiami più e che non metta più piede in questo posto, ok, lo farò. »
    In qualche modo, Doireann sentiva che avrebbe dovuto avere paura, ma non ne provava, neanche un po'. Non vedeva un mostro o una creatura spaventosa di fronte a sé, ma un ragazzo che non sapeva come gestire una situazione più grande di lui, un ragazzo a cui voleva bene e che voleva aiutare, anche se lui non avesse voluto.
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    Donnie era una di quelle persone da cui nessuno poteva mai immaginare cosa aspettarsi. Per esempio, per quanto avessi già capito che fosse una tipa sveglia e intraprendente, mai e poi mai mi sarei aspettato che, per chissà quali vie traverse, riuscisse a trovare il campus. Gliene avevo parlato in maniera abbastanza velata, dipingendoglielo come un prestigioso istituto privato –il che era esattamente quello che credeva l’opinione pubblica- fuori New York ma mai avevo dato modo all’argomento di essere approfondito: mi sarei solamente dato la zappa sui piedi da solo. Insomma, pensavo che se avessi voluto continuare a frequentare Donnie, prima o poi avrei dovuto rivelarle la verità ma non mi sentivo ancora pronto. Almeno, non fin quando i miei poteri erano impazziti in quella maniera assurda e messo a rischio la vita di tutti, o quasi, i semidei della città. E non solo i semidei.
    Insomma, Donnie sarebbe potuta rimanere schiacciata sotto un cumulo gigantesco di macerie per causa mia e quell’idea… sinceramente non volevo nemmeno pensare a come mi sarei sentito se fosse veramente accaduta una cosa del genere, né sapevo se sarei ancora riuscito a controllare quei maledetti poteri, quella parte di me che mi stava rendendo la vita impossibile: la rabbia e il dolore rendevano la mia mente molto più instabile e in loro presenza il rischio di sfuggire al controllo aumentava esponenzialmente. Per questo cercavo in tutti i modi di annullare i sentimenti forti, per questo volevo che Donnie stesse lontana da me: perché la paura di ferirla era troppo grande e averla così vicina, alla mercé del pericolo, mi agitava in maniere che nemmeno saprei come spiegare.
    Vederla apparire proprio davanti all’ingresso del campus, che non era esattamente ciò che le avevo raccontato, e talmente determinata a parlarmi fu assolutamente spiazzante e mi sentii come se mi avesse messo con le spalle al muro. Non potevo di certo lasciarla entrare lì dentro, non quando tutti – a seguito dell’incidente- erano diventati suscettibili e pronti a scattare. Nemmeno a dirlo, appena mi ero trovato all’ingresso del campus, separato da lei solamente dall’alto cancello d’entrata, dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per evitare di dare veramente di matto e avere un crollo nervoso. Ovviamente lei era subito partita in quinta esponendomi tutte le sue ragioni e io non potevo darle effettivamente torto ma non per questo ero meno preoccupato di averla lì. Forse ero stato un po’ estremo nello sparire così, forse avrei potuto rispondere ad una delle sue diecimila chiamate per dirle che non potevamo più vederci ma forse era proprio quello il problema: ammettere chiaramente la possibilità di non parlare più con lei, di non poterla sentir ridere, di non poterla guardare… mi stavo sforzando con tutto me stesso di provare a tornare all’esistenza che facevo prima di conoscerla ma mi rendevo conto di quanto fosse difficile. Era impossibile.
    Quando trovi qualcosa che rende ancor più bella e luminosa la tua vita, tutto quello che c’è stato prima ti sembra insensato, vuoto, e ti chiedi come hai fatto ad andare avanti come nulla fosse quando lì fuori c’era qualcuno che avrebbe acceso la tua esistenza. Io non riuscivo più ad immaginare di dovermi separare da Doireann Keegan e mi sentivo estremamente egoista per questo.
    La guardai con gli occhi sbarrati, credendo che forse si trattasse di un’allucinazione e che avessi definitivamente perso la testa, senza ascoltare veramente tutta quella valanga di parole che mi aveva gettato addosso. O meglio, provai ad ascoltarla ma ero troppo confuso e agitato, dunque ne avevo captato solo delle parti sconnesse tra loro. Comunque non c’era di certo bisogno di analizzare ogni sua parola per avere il succo del discorso:
    « D’accordo, Donnie… Donnie la chiamai, aggrappandomi alle sbarre e provando a bloccare quel fiume in piena, interrompendo la sua proverbiale parlantina. Ero sull’orlo dell’esasperazione:
    « Santo Cielo, tu… in altre circostanze non credo che l’avrei detto ma mi stai veramente mandando in confusione.» che detto da uno con il mio quoziente intellettivo poteva sembrare quasi una barzelletta.
    «Quindi ora torni in camera e ti rendi presentabile, poi mi raggiungi e andiamo a fare due passi qua attorno» visto che ero già vestito, con i miei jeans e la felpa scura, mi resi presentabile semplicemente passandomi un paio di volte le mani tra i capelli, tutto frenetico:
    « Ok, ok, ci sono, guardami, sono perfetto.» farneticai, aprendo il cancello e uscendo dal perimetro del campus. La presi per le spalle e la guardai, schiudendo le labbra nel tentativo di dire qualcosa che però non dissi, come se mi mancassero effettivamente le parole. Alla fine sospirai e mi passai le mani sul viso, facendole un cenno in direzione dei boschi che circondavano la scuola per semidei:
    « Sì, facciamo due passi, hai ragione.»

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    DOIREANN KEEGAN

    →HYBRID →17 ANNI →SCHEDA No matter what kind of tomorrow comes, I'll still want to move on©
    Sarebbe stato buffo scoprire quanto entrambi fossero d'accordo su una semplice questione: tornare a vivere come se non si fossero mai conosciuti su quella pista di pattinaggio improvvisata e un po' sgangherata sembrava essere impossibile. Qualunque cosa vedesse o le accadesse la portava a pensare a lui. A volte le era sembrato addirittura di vederlo con la coda dell'occhio o, anche solo per un momento, in mezzo alla folla. Ma non si trattava mai veramente di Rick, che se ne stava rinchiuso nella prigione che si era creato da solo per non rischiare di ferire chi gli stava attorno. Era come un magnete che attirava a sé tutti i suoi pensieri, riuscendo nell'impresa di ricondurre tutto a lui, in un modo o in un altro, che lei lo volesse o meno.
    La verità era che sentiva la sua mancanza. Si conoscevano da poco, si erano visti solo un paio di volte e sentiti qualcuna di più, ma da quando non aveva più risposto alle sue chiamate si era sentita sola e smarrita come non lo era mai stata, così tanto che a stento riusciva a trattenere le lacrime. E poi si sentiva male, come se le avessero strappato via una parte importante del corpo e fosse ora preda di un dolore fantasma. Faceva male, faceva molto male, anche se non c'era più. Si rendeva perfettamente conto che la sua fosse una reazione esagerata, però non poteva cambiarla. Era così e basta.
    Ma se per lei quei giorni non erano stati affatto semplici, per quanto fosse abile a nascondere tutto quanto dietro un'espressione serena e un sorriso sulle labbra, per Rick dovevano essere stati un inferno, un incubo che aveva lasciato i confini del sonno per diventare spaventosamente reale. Lo vedeva dall'espressione del suo viso, dal modo in cui si muoveva, troppo rigido e allo stesso tempo pronto a scattare, quasi fosse un animale ferito che si sentiva minacciato e messo alle strette. Non era il ragazzo geniale e affascinante che aveva conosciuto. Sembrava più un ragazzo tormentato e spaventato, e voleva fare qualcosa per lui finché ne aveva la possibilità, finché il suo cuore malandato continuava a battere – prima o poi avrebbe dovuto dirglielo, se avessero continuato a frequentarsi, che la sua aspettativa di vita era incredibilmente breve, ma quello non era il momento. E le andava bene resistere un po' meno di quanto preventivato, se voleva dire aiutare Rick a ritrovare la sua serenità, il suo vero io. Forse il suo era un comportamento egoista, e anche un po' megalomane, ma non le importava affatto. Voleva solo che tornasse ad essere quello di prima, che non restasse quella pallida e sfocata ombra di se stesso che era diventato in quelle poche settimane.
    Fu solo al secondo Donnie! che decise di zittirsi, stringendo le labbra, quasi volesse impedire a quella colata di parole di uscire, come se non dipendesse da lei ma da qualcosa che aveva dentro e che non era in grado di controllare. Un po' come quello che aveva Rick, solo molto più insignificante. « Scusa. » si lasciò sfuggire velocemente, neanche si stesse mangiando quella sola parola nel tentativo di bloccare tutte le altre che premevano per uscire. Nella sua espressione però si poteva notare quasi una sorta di soddisfazione, quasi sicuramente dovuto al fatto di essere riuscita a confonderlo. Era una reazione che suscitava normalmente nelle persone quando si metteva a parlare, ma con lui era la prima volta che accadeva.
    « Ok, ok, ci sono, guardami, sono perfetto.» La risata sorse spontanea dalle sue labbra. Non era scherno o derisione, ma una reazione spontanea a un comportamento che aveva trovato buffo. « Sei un vero schianto. » disse con un sorriso e nessuna traccia di ironia o sarcasmo. Forse perché lo pensava veramente. Sciupato o meno, Rick rimaneva uno dei ragazzi più attraenti che avesse mai avuto la fortuna di incontrare. Sua sorella diceva sempre che ragazzi belli come lui facevano bene alla vista, e non poteva di certo darle torto.
    Mosse appena il viso verso l'alto con fare soddisfatto, probabilmente considerava una vittoria il fatto che Rick avesse acconsentito a fare due passi. Non sapeva di cos'avrebbero parlato, ma in ogni modo sarebbe stato meglio che saperlo tutto solo al di là di quel cancello di ferro.
    Cominciò a incamminarsi nel bosco facendo attenzione a dove metteva i piedi. Non aveva un senso dell'equilibrio così buono da potersi permettere di inciampare in tutte le radici che le capitavano di fronte. Stava, quasi sicuramente per la prima volta da che aveva imparato ad emettere suoni, cercando disperatamente qualcosa con cui attaccare bottone. Sembrava aver dimenticato quasi tutto quello che avrebbe voluto dirgli, e quello che rimaneva le sembrava troppo indelicato per poter essere detto senza pensare.
    « Qualunque cosa mi venga in mente di dire mi sembra troppo stupida per essere pronunciata ad alta voce – tutte cose del tipo 'come stai', 'che hai fatto in questi giorni' e robe simili. Quindi dimmi qualcosa tu. » Si fermò prima di aggiungere 'come ad esempio il motivo per cui hai deciso di ignorarmi'. E no, il fatto che potesse essere potenzialmente pericoloso e distruttivo non era una valida scusa.
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    Quei boschi erano sicuri e rientravano sotto la giurisdizione del campus, dunque mi sentivo tranquillo nel camminare con Donnie tra quegli alberi.
    Certo, per quanto potessi sentirmi tranquillo nel vero senso della parola. Avevo sempre quello spiacevole sentore che mi faceva fischiare le orecchie, quella sensazione di imprevedibilità di cui non riuscivo a liberarmi e, come se non bastasse, Donnie mi aveva trapanato le orecchie con una marea di parole senza quasi nemmeno darmi il tempo di fare un passo verso di lei.
    Sicuramente in altre circostanze il mio cervello avrebbe lavorato diversamente, avrebbe lavorato meglio e sarebbe riuscito a gestire quel fiume in piena senza troppi problemi ma in quel momento ogni parola mi rimbombava nella testa come se fosse vuota e ogni suono mi pareva tanto amplificato da farmi venire il mal di testa. Forse ero stato chiuso in solitudine per troppo tempo, visto che io stesso sono ero sempre stato un gran chiacchierone e mi piaceva il contatto con la gente.
    Mi chiedevo se veramente esistesse una soluzione al problema, se fosse possibile mettere a tacere la mia parte demoniaca per evitare che fosse la fonte di ulteriori problemi. Sapevo che gli insegnanti al campus stavano lavorando per trovare un modo di arginare la pericolosità di tutto quello ma io mi sentivo ugualmente impotente di fronte a me stesso, tanto che a stento mi riconoscevo in quei comportamenti sospettosi e chiusi in loro stessi.
    Uscire nuovamente all'aria aperta ed essere circondato dal verde non potè che farmi bene, visto che l'assenza di luce doveva avermi reso ancor più pallido di quanto già non fossi naturalmente. Ero comunque pensieroso, mentre passeggiavamo tra gli arbusti e aiutavo Donnie a superare gli spazi più accidentati del terreno scosceso, fino a giungere ad una zona più regolare e pianeggiante in cui avremmo potuto camminare senza rischiare di inciampare in qualche radice e ucciderci. Ci mancava solo quello.
    Ero pensieroso perché sapevo che quello era il momento in cui avrei dovuto dire la verità a Donnie sulla mia natura, su chi veramente fosse il ragazzo che aveva conosciuto su quella pista di pattinaggio. Poi avrebbe fatto le sue valutazioni e le sue scelte ma in effetti le dovevo dare la possibilità di farlo, visto che fino a quel momento avevo scelto per lei. Era sbagliato, lo sapevo, ma l'avevo fatto a fin di bene.
    Stranamente c'era stato qualche minuto di silenzio tra noi, quasi come se entrambi dovessimo riordinare i pensieri o cercassimo la maniera più corretta per dire ciò che ci stava passando per la testa:
    «Qualunque cosa mi venga in mente di dire mi sembra troppo stupida per essere pronunciata ad alta voce – tutte cose del tipo 'come stai', 'che hai fatto in questi giorni' e robe simili. Quindi dimmi qualcosa tu.»
    « Sono un mezzo demone.» ok, forse non avevo esordito nel migliore dei modi ma avevo pensato che forse sarebbe stato meglio un approccio veloce e indolore:
    « Sono... lo so che ti sembrerà tutta un'enorme assurdità ma io non sono come te. Sono figlio di creature diverse di cui forse non immagini l'esistenza ma io ti assicuro che invece ci sono e sono tra noi. Camminano tra noi, vivono tra noi, si riproducono con noi e il risultato è spesso quello che hai davanti.» ammisi, fermandomi di fronte a lei per guardarla, come a voler capire i suoi pensieri semplicemente dal suo sguardo:
    « Mia madre è la dea Persefone e mio padre un demone di cui non si è mai saputo granché. Come potrai immaginare la cosa è un po' problematica, visto che ci sono in ballo entrambe le fazioni che si contendono il dominio dell'inferno.» mi sentivo un po' idiota a cercare di raccontare tutto quello senza che sembrasse ridicolo e non ero certo che stessi riuscendo nell'intento:
    « Il punto è che io sono questo. Uno strano ibrido pericoloso che qualcuno sta cercando di controllare. E... beh, è ovvio che il dubbio ricada immediatamente sul mio padre biologico. Donnie, mi segui?»

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    →HYBRID →17 ANNI →SCHEDA No matter what kind of tomorrow comes, I'll still want to move on©
    Fu contenta di raggiungere un terreno pianeggiante in cui nemmeno una ragazza distratta e propensa a colpire ogni spigolo presente sulla propria strada come lo era lei potesse inciampare, cadere in qualche modo ridicolo e rompersi il collo. In quei pochi minuti di silenzio in cui lei aveva cercato qualcosa di intelligente da dire – intento che però era decisamente sfumato, per non dire qualcosa di meno gentile, nel momento esatto in cui aveva deciso di aprire quella dannata boccaccia – il pensiero e il timore di essere stata forse un po' troppo brusca si fece strada nella sua mente. Ma se come temeva Rick la ignorava non perché non provasse più alcuna simpatia per lei, ma per il fatto che le era quasi crollata una casa addosso, bé, le sembrava una cosa estremamente stupida. Prima di tutto, così facendo sembrava che quella che avesse bisogno di ricevere una qualche punizione fosse lei e, visto che così non era, quel benedetto ragazzo stava solamente facendo la figura dell'autolesionista. E, cosa più importante, non capiva il perché. Sì, aveva intuito che fosse successo qualcosa a Rick e a sua sorella, e che erano stati proprio loro a causare quel disastro, ma alla fine non le era successo niente, e nessuno si era fatto male. Allora perché ignorare le sue chiamate e i suoi messaggi? Perché cercare di mandarla via? Non riusciva a credere che si ritenesse davvero così pericoloso e privo di controllo da temere di ferirla. Era qualcosa che non concepiva. Se lei avesse dovuto applicare lo stesso ragionamento, avrebbe dovuto chiudersi in casa senza più uscirne finché il suo cuore non avesse ceduto. Avrebbe dovuto comportarsi esattamente come lui.
    Quando aveva pronunciato quelle parole l'aveva fatto allo scopo di alleggerire un po' la tensione, nel tentativo di permettere a Rick di rilassarsi un po'. Così teso, così nervoso, quasi non sembrava se stesso. Di solito era espansivo, brillante, divertente, tutte qualità che, a partire da quella maledetta festa, sembrava aver perso. Però sapeva, sperava, che il ragazzo che aveva incontrato qualche settimana prima e che l'aveva rapita al primo sguardo fosse ancora lì da qualche parte, magari un po' ferito e spaventato, ma vivo e presente.
    « Sono un mezzo demone.» Oh bé, viva la sincerità.
    Sentendo quelle poche parole e intuendo che non fosse un semplice modo di dire, si fermò sul posto e lo guardò col viso leggermente inclinato verso destra e un'espressione che era un miscuglio di sorpresa, confusione e incredulità. Non lo guardava come se fosse pazzo o se avesse detto un'immane stupidaggine, ma semplicemente una simile rivelazione, così, di botto, la lasciava un po' perplessa. Gli credeva – non avrebbe mai messo in dubbio la sua parola – ma per lei era un po' difficile accettare tutta la questione. Esistevano le antiche divinità greche e anche le creature demoniache onnipresenti in quasi ogni cultura. Era una bella sorpresa.
    « Ma quindi se io morissi finirei nell'Ade o nell'inferno? » domandò, gesticolando appena con gli indici di entrambe le mani mentre stava cercando di fare un ragionamento tutto suo, probabilmente sulla possibile compresenza di entrambi gli aldilà e su un inverosimile procedimento di ripartizione delle anime tra l'uno e l'altro. Ma non era quello l'importante, in quel momento. Quando fosse morta, l'avrebbe scoperto.
    Si infilò le mani infreddolite nelle tasche del giubbotto che l'avvolgeva, tenendola al calduccio nonostante l'aria pungente di quella giornata. Si chiedeva se Rick non avesse freddo, le sembrava vestito un po' troppo leggero. « Non è stata la cosa più intelligente che potessi dire, scusa. Ma quando sono confusa dico cose particolarmente stupide. In realtà dico sempre cose stupide, ma oggi in particolar modo. » si scusò, con quello che sembrava essere un sorriso appena abbozzato, a metà tra l'impacciato e l'imbarazzato. Senza smettere di guardarlo nemmeno per un momento, inspirò a fondo, in cerca della cosa giusta da dire.
    « Ho capito, fin qui, anche se non è semplice pensare che sia reale. E per quanto possa sembrarmi assurdo voglio crederti, anche perché spiegherebbe quel che è successo alla festa. » gli assicurò, con il tono più calmo e disinvolto che potesse assumere. L'aveva presa bene, tutto sommato. « Ma se stai per dirmi che è per questo motivo che mi ignori da settimane, sarei anche pronta a prenderti a schiaffi. Se davvero il tuo padre demoniaco sta cercando di controllare te e tua sorella, rinchiudersi in camera come eremiti mi sembra una pessima idea, e io me ne intendo di pessime idee. Forse così non fai del male a nessuno, e vorrei far notare che con quello che sei capace di fare, di certo non saranno quattro mura di cartongesso o quel che è a fermarti, ma di certo fai del male a te stesso. Se sei tutto solo, triste e sconsolato come adesso – e non ti azzardare a negarlo o ti prendo davvero a schiaffi, e non ti conviene sottovalutarmi – sei più vulnerabile, no? Può darsi che alla festa vi abbia preso alla sprovvista. Ma se sei vigile, attento e, non dico di buon umore, ma quantomeno non depresso, di certo sarà più difficile per lui insinuarsi nella tua mente. O almeno è quello che penso io, e non ne so niente di controlli che non siano medici e robe simili. Però questa è la mia idea, ecco. » concluse. C'è da dire che era partita con l'intenzione di parlare con calma e poco, giusto perché lo vedeva abbastanza scombussolato già di suo. Però, come sempre accadeva, tutti i suoi buoni propositi si perdevano per strada, tra un centinaio di parole e un altro.
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    ♊ RICK DYLAN STORMBORN

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    Non sapevo precisamente che reazione aspettarmi da Donnie: sarebbe potuta rimanere ammutolita di fronte a quella rivelazione -ne dubitavo fortemente- oppure avrebbe cominciato a rovesciarmi addosso tutte le sue ipotesi sul perché e per come stesse accadendo tutto quello? La seconda era decisamente più probabile, anche se di fatto Donnie non ne sapeva niente di sovrannaturale... o almeno, questo era quello che immaginavo.
    Se fossi stato un minimo fortunato avrei anche potuto avere a che fare con una persona che aveva già avuto le sue esperienze nell'ambito e ne conosceva l'esistenza ma ovviamente così non era stato e oltre alla difficoltà di dover raccontare cosa fossi e cosa fosse successo realmente alla festa, mi ritrovavo anche di fronte a un ostacolo probabilmente ancor più grande: il fatto che lei potesse non credere ad una sola parola.
    Come biasimarla, in fondo. Se io fossi stato al suo posto probabilmente mi sarei fatto una bella risata a sentir parlare di dei, inferi e poteri speciali e dopo la risata avrei creduto con fermezza che la persona di fronte a me avesse decisamente dato di matto.
    Il fatto che mi trovassi in uno stato semi-confusionale di certo non mi aiutava ad esporle i fatti in maniera quantomeno credibile e ordinata ma contavo veramente che Donnie si fidasse ancora di me. Sì, anche dopo che avevo rischiato di farle crollare una casa in testa ed ero sparto per settimane cercando di far perdere le mie tracce o, ancor peggio, di farla illudere che praticamente non fossi mai esistito se non nella sua testa. Ma Donnie era troppo testarda e determinata per gettare la spugna dopo qualche chiamata caduta nel vuoto:
    «Ma quindi se io morissi finirei nell'Ade o nell'inferno?» mi fermai di fronte a lei, nel bel mezzo del bosco, osservandola con un'ombra di perplessità sul volto:
    « Aehm... non saprei.» mormorai, sorpreso che il suo primo pensiero fosse stato proprio quello:
    « In ogni caso dubito che tu finiresti lì.» per come la vedevo io, al massimo sarebbe finita in Paradiso, ma era meglio procedere con un passetto alla volta e non sovraccaricarla di informazioni apparentemente assurde che avrebbe potuto far farica ad interiorizzare.
    La lascia parlare -una specie di mossa suicida- così che mi dicesse cosa pensava di tutto quello ed ebbi ancora una volta la conferma del fatto che Donnie fosse... la persona più speciale che avessi mai avuto la fortuna di incontrare.
    Non sapevo se avesse ben capito cosa le avevo appena rivelato -demoni, dei, inferni- ma, partendo sulla base che lo avesse fatto, avevva messo in primo piano il fatto che chiudermi in me stesso non mi sarebbe stato utile in una situazione del genere. Ancora una volta feci fatica a starle dietro, impegnato con una buona parte della mia concentrazione a scacciare quel fastidioso ronzio dalle orecchie:
    « Forse hai ragione e forse mi merito i tuoi schiaffi ma l'ho fatto perché... ho paura di colpire le persone a cui tengo di più. E tu sei tra queste.» le confidai in maniera sorprendentemente candida e sincera:
    « Alla festa ci è andata bene ma è stato solo un colpo di fortuna che potrebbe non capitare di nuovo. Ti risparmio di vedere che poteri mi ha dato Persefone, non sono piacevoli.» commentai con una piccola smorfia, chiedendomi ancora una volta a cosa mai potesse servirmi usare il corpo di una persona morta come marionetta. Insomma, faceva schifo e basta, esattamente come i poteri degli altri figli di Persefone: risvegliare un corpo morto e far marcire le piante al tocco non era di certo il massimo della vita. Anzi, non lo era per niente:
    « Sono tutti più o meno così nel campus che hai intravisto oltre il cancello. Beh, non tutti mezzi demoni, ma tutti figli di dei sì. E' gente piuttosto... eccentrica. » mi fermai in prossimità di un grosso tronco rovesciato nel terreno, sdendomici sopra:
    « Mi dispiace... forse avrei dovuto dirtelo prima che succedesse tutto questo.»

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    →HYBRID →17 ANNI →SCHEDA No matter what kind of tomorrow comes, I'll still want to move on©
    Donnie intuì che forse, almeno per quel giorno, avrebbe dovuto sforzarsi di andarci piano. Rick le sembrava essere in uno stato confusionale, o comunque qualcosa che gli somigliava molto, e nemmeno con tutta la sua genialità riusciva a gestirla in quella condizione. Avrebbe dovuto parlare meno, e più lentamente. O, quantomeno, avrebbe dovuto fare una pausa tra una frase e l'altra.
    Accettare l'esistenza di creature sovrannaturali non era semplice, nemmeno per lei che si considerava di vedute molto, molto ampie, e le ci sarebbe voluto un po' per metabolizzare la cosa. Ma la sua confusione era irrilevante in quel momento. Si limitò a prenderne atto: a interiorizzarla ci avrebbe pensato dopo, quando si fosse assicurata che Rick stesse bene. In fondo era arrivata fin lì per quel motivo, e non aveva intenzione di metterlo in secondo piano solo perché aveva scoperto una verità che da un lato poteva essere meravigliosa e dall'altra agghiacciante. Non sapeva nemmeno come reagire, se doveva esserne sincera, quindi pensò che la cosa migliore da fare fosse accantonare il tutto, chiuderlo in un cassetto e tirarlo fuori in un altro momento.
    « Adulatore. » commentò scherzosamente quando Rick dubitò dell'ipotesi che potesse finire negli inferi o nell'ade. Non la conosceva ancora tanto bene, non sapeva quanto lei potesse essere malefica – i poveri disgraziati che aveva tormentato pur di farsi rivelare l'ubicazione del campus, invece, lo sapevano eccome.
    Lo ascoltò, dandogli la possibilità di spiegarsi senza interruzioni, coi suoi tempi e senza mettergli fretta. Immaginava che non fosse semplice per lui parlarne. Dubitava che fosse felice di essere figlio di un demone e della regina degli inferi, e no, non ci teneva proprio a scoprire quali poteri avesse ereditato al suo genitore divino. Quelli demoniaci erano già stati più che sufficienti, di poteri sovrannaturali potenzialmente distruttivi non voleva più saperne per un po'.
    « Quindi è un campus esclusivo per quelli che, come te, sono figli di divinità, giusto? Per semidei. » concluse, mentre cercava di metabolizzare la notizia e prenderne atto. Nel frattempo occhieggiò il tronco di un albero caduto proprio sul limitare dello spiazzo in cui si erano fermati. Seguì l'esempio di Rick e si sedette accanto a lui, sulla superficie rugosa e contorta del legno.
    Prese un bel respiro, come per ricordarsi e imporsi di parlare con calma. « Forse. Ma ti ricordo che ci siamo visti poche volte, e sentiti poche di più. Se me lo avessi detto prima, probabilmente non ti avrei creduto. » disse, parlando più lentamente di quanto non fosse abituata a fare. Tacque per qualche istante, riflettendo, come se fosse indecisa su cosa dire o meno. « Se dobbiamo essere sinceri, anch'io forse avrei dovuto dirti una cosa. Ma affrontiamo una notizia bomba alla volta, ok? » disse, decidendo così di rimandare a un'altra volta una discussione che sarebbe stata molto spiacevole, almeno per lei. Avrebbe voluto non dirgli mai che la sua aspettativa di vita era molto breve, ma sarebbe stato ingiusto nasconderglielo. Ne avrebbero parlato, però in un'altra occasione. Rick era già abbastanza scombussolato e afflitto di suo, non le sembrava il caso di caricarlo di altri motivi per abbattersi.
    « Tornando a noi. Ricapitoliamo, giusto per vedere se ho capito tutto: sei figlio di un demone e di Persefone, e pensi che tuo padre stia cercando di controllare te e tua sorella per, suppongo, classiche manie di potere e sfruttamento dei cattivi della situazione. » disse, gesticolando un po' come se farlo l'aiutasse a mantenere il filo del discorso. « E tu hai avuto la geniale idea di isolarti dal mondo per paura che accada qualcosa come alla festa. E lo capisco, posso immaginare che tu abbia paura, sul serio. Però sono dell'idea che sia una delle opzioni peggiori, e non lo dico solo perché mi ha infastidita che mi ignorassi. »
    Lo guardò negli occhi, per poi appoggiare una mano su quella di Rick, stringendogli delicatamente le dita. « Voglio aiutarti, Rick. Lo voglio sul serio, ma non lo farò se tu non vorrai. Se vuoi che esca dalla tua vita e faccia finta di non averti mai incontrato, lo farò. Però dimmelo chiaramente, questa volta. »O
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