Occhi gialli.

Rachel e Sam, ore 19:00, biblioteca.

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    Rachel Klein - nicknametumblr_m81rqfmkNc1qb0im5o2_500
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    «Rachel, stellina, domani è necessario che ci fermiamo un attimo da Clara. Devo assolutamente chiedergli ulteriori dettagli sulla collezione autunno inverno»
    La voce squillante di Emma, l'ex moglie di mio padre, risuonò forte e chiara dall'altro capo del mio telefonino. Per lei fare shopping sarebbe voluto dire indagare il mercato, anche, da brava agente di una delle case di moda più influenti a livello mondiale: Chanel.
    Occasionalmente, collaborando anche con Burberry e Elie Saab, avevo avuto il privilegio di assistere a sfilate di collezioni limitate, solitamente rivolte a pubblici ben definiti e persino più ricchi -molto più ricchi di mio padre-.
    Come consulente di mercato di queste case di moda, consigliarle ed entrare in contatto con atelier importanti per lei era prassi, così come, il più delle volte, consigliarmi casting per musicals in tutto il paese.
    Avevo partecipato a castings per Hair, Wicked, Cats e molti, molti altri.
    Ovviamente, quando erano giunti incarichi, non mi erano stati mai dati da protagonista, a causa della mia sin troppo giovane età.
    Questo, però, non mi aveva certo abbattuta.
    Continuare a lavorare sarebbe stato il segreto che, un giorno, mi avrebbe realizzato come artista, facendo in modo che diventassi la star in grado di ispirare le ancor più nuove generazioni.
    Un po' come Alicia Keys o Beyoncé, per così dire.
    Intanto, però, quel duro lavoro che mi avrebbe portata al successo necessitava anche boriosissime ore in biblioteca alla ricerca di inutili volumi, impolverati e che parlavano di battaglie di cui, sinceramente, non mi sarebbe mai potuta interessare neppure una fava.
    «Sh, Maggie, sto cercando di sottolineare!» Rimproverai la mia compagna, una delle più influenti fra i capi confraternita di tutto il college, con cui andavo piuttosto d'accordo e che, potenzialmente, sarebbe stata un'ottima ballerina, in futuro.
    Mi sarebbe piaciuto se avessimo lavorato insieme, un giorno.
    «Ma non ci capisco niente!» Si lamentò lei, lasciando che una risata risuonasse leggera fra gli scaffali dell'enorme biblioteca del campus, pressoché vuota se non fosse stato per noi due, essendo pienamente ora di cena.
    Fu solo allora che uno scricchiolio mi fece sollevare il capo riccio e ramato, lo sguardo fisso dinanzi a me, al corridoio pieno di libri, seppur non molto ben illuminato.
    «Hai sentito?» Domandai a Maggie, poggiando una piccola mano curata sul librone colmo di disegni sulle battaglie fra Nordisti e Sudisti. Assottigliai un po' lo sguardo, scrollando poi le spalle pensando che, in fondo, sarebbe potuto essere senz'altro uno scherzo della mia immaginazione, dopo una giornata in università e poi alle prove del musical che avremmo organizzato per le competizioni regionali e che, ovviamente, puntavo riuscisse a giungere anche oltre.
    «Maggie hai...» Mi fermai un attimo, voltandomi di scatto verso la direzione della mia compagna, trovando però il suo posto vuoto, di lei alcuna traccia.
    Chiusi il libro, agguantando il telefono dalla borsa.
    Mi alzai lentamente, facendo vagare più febbrilmente lo sguardo attorno a me. Qualcosa non andava.
    C'era troppo silenzio, anche per essere una biblioteca.
    Plick, plick, plick.
    Gocce.
    Qualcosa stava bagnando il parquet lucidissimo della biblioteca, liquido denso e scuro che pian piano immobilizzò sul posto.
    sangue.
    Non alzare il viso Rachel, non alzare il viso.
    Solo quando i miei occhi, curiosi forse di scoprire quale fosse quel macabro spettacolo, si alzarono, mi morsi il labbro talmente forte da ferirlo pur di non gridare.
    Meggie era sul soffitto, un taglio ampio sull'addome, morta. Sembrava come se vi fosse stata scaraventata con forza, in una posizione tanto innaturale che mi impedì di staccare lo sguardo se non quando udii del gelo penetrarmi sin nelle ossa.
    Demoni.
    Fu solo allora che un paio di occhi gialli, simili a quelli di un gatto, brillarono nell'oscurità della biblioteca.
    Fu solo allora che mi decisi a correre, correre più veloce che potevo perché purtroppo, per la mia amica, non potevo fare più niente.
    Sentii la paura rallentare ogni movimento, sino a quando il demone non mosse una mano, scaraventandomi dolorosamente contro uno scaffale.
    E' finita, Rachel. Dissi a me stessa, cercando di alzarmi con tutte le forze, senza successo.
     
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    Sam Winchester
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    Il silenzio fa sì che le immagini del passato non suscitino desideri ma tristezza, una enorme sconsolata malinconia.
    Erich Maria Remarque




    «Belial deve il suo nome all'ebreo ''senza valore''» la voce di Drake giungeva forte e chiara dall'auricolare mentre controllavo di avere acqua santa, pistola, pugnali da lancio e - insomma- tutto quanto potesse essere utile per combattere un demone. «... se scomponiamo il suo nome ebraico otterremo...»
    «Stai davvero leggendo una pagina di Wikipedia?» chiesi, dunque, infilandomi una maglietta.
    Nelle ultime settimane c'erano state strane morti all'interno di quel prestigioso college - o comunque collegate ad esso- tali da farmi pensare che qualche studentessa, o qualche studente, avesse stretto un patto con un qualche demone per vendetta: la prima vittima, due anni prima, era stata la professoressa di Storia della Cinematografia - una donna che era descritta come una docente non troppo morbida, che puntava a formare ragazzi ''di classe'' e non sopportava studenti ''deboli'', sempre secondo il suo punto di vista un pò malato- trovata morta nel proprio letto dal marito.
    Seconda vittima, un anno prima, una delle studentesse più in vista del momento: Beatrice Knows era stata una di quelle cheerleader non troppo morbide con chi non riteneva all'altezza.
    Esaminando i due casi, avevo capito due cose: la prima era che movente di tali delitti avrebbe dovuto necessariamente essere l'odio che i comportamenti di quelle due donne aveva suscitato. Un rifiuto amoroso o una vendetta per umiliazioni, possibilmente.
    La seconda era che la posizione dei cadaveri e il modo in cui erano state uccise faceva presupporre che c'entrasse un demone: cosa che mi era stata confermata quando, entrando nel vecchio appartamento del campus occupato da Beatrice, avevo trovato un certo odore di zolfo nell'aria.
    Non era troppo forte ma nemmeno così debole.
    Demone che aiutava i casi ''senza valore'' era Belial, demone che per crudeltà e sadismo era spesso stato paragonato a Lucifer se non confuso con esso sebbene diversi autori - da Dante Alighieri in poi- avessero chiarito che egli fosse solo un suo generale.
    «La terminologia è importante» si difese la voce di mio fratello, dall'altro capo della conversazione, strappandomi ai miei pensieri.
    «Fratellino, aprire una pagina di Wiki non è...»
    «Allora cercatelo da solo, la prossima volta!» ringhiò mio fratello, chiudendo la conversazione.
    Non mi aveva perdonato l'essermene andato di casa, sicuramente.
    Sospirai, chiudendo a mia volta la chiamata. Non mi pentivo del gesto che ero stato costretto a compiere, ma i miei fratelli per me erano sempre stati molto importanti: ero legato a Dean da qualcosa di più che un semplice legame fraterno, eravamo quasi una vecchia coppia di amici che litiga per qualsiasi cosa e non fa altro che supportarsi, ma Drake...
    Beh, non riuscivo proprio a capirlo.
    Sbuffai, uscendo dalla casa che io e Dean avevamo eletto nostro personale rifugio.
    In fondo, avevo altro cui pensare sul momento.


    Se i miei calcoli non erano errati, erano tre le vittime che il mio uomo - o la mia donna- avrebbe potuto puntare: Rachel Klein, reginetta incontrastata del college sin da quando vi aveva messo piede, la sua amica Margaret Conn e la professoressa Emily Murray di Disegno Applicato.
    Tuttavia avevo deciso di pedinare proprio Rachel, facendomi assumere come addetto alle pulizie nel college: non era nemmeno troppo difficile tenerla d'occhio durante le lezioni, aspettando pazientemente il momento opportuno.
    Quello in cui, appunto, il demone avrebbe deciso di manifestarsi.
    E l'occasione capitò proprio quella sera. Rachel e Margaret erano in biblioteca e stavo fingendo di lavare per terra a qualche metro di distanza quando udii uno scricchiolio che mi fece mettere mano alla pistola, opportunatamente nascosta.
    Fu tutto troppo veloce perchè potessi intervenire; in un battito di ciglia, Margaret era sul soffitto, una ferita sull'addome e Rachel stava correndo via, spaventata dagli occhi gialli che erano comparsi nel buio della biblioteca.
    Corsi anche io, facendo slalom tra i vari scaffali, tenendo sott'occhio il passo del demone.
    Ricordati tesoro diceva mamma, sistemando la giacca. Ai demoni piace giocare, di solito: devi appigliarti alla loro natura esibizionistica per ucciderli
    E meno male che non era un Incubo...
    Misi mano nella tasca dei jeans, estraendone una piccola boccetta colma di acqua santa benedetta e saltai fuori dal mio nascondiglio improvvisato - proprio davanti a Rachel- aprendola e lanciandone il contenuto proprio negli occhi che ci stavano davanti.
    Un urlo disumano si propagò per i corridoi e ne approfittai per tracciare velocemente, con l'aiuto di un gessetto, un cerchio per terra - proprio nel punto in cui io e Rachel ci trovavamo.
    Mi caricai la ragazza tra le braccia, procurando di poggiarla poco distante. Ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni, speravo.
    Presi un respiro, voltandomi verso il demone che non osava fare un passo, temendo fosse di incappare in un sigillo antidemone o nel cerchio che gli avevo disegnato proprio davanti.
    «Belial, generale di novanta armate, suppongo» pronunciai piano, osservando il demone.
    «Non credo di conoscerti, giovane cacciatore» ribattè il demone. Era una voce indubbiamente femminile.
    Mi chiesi se Rachel fosse capace di riconoscerla
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    Conoscevo perfettamente l'esistenza dei demoni, benché li avessi sempre considerati -oltre che particolarmente schifosi- particolarmente lontani dal mio mondo.
    Erano creature molto più vicine ad Ade, agli inferi, che a me.
    Per questo, probabilmente, il panico fu ancor più sentito, da parte mia.
    Una figlia di Afrodite non avrebbe avuto i poteri sufficientemente offensivi da poter combattere una minaccia tanto rapida ed io -oggettivamente- non ero neppure tanto allenata da poterci riuscire.
    Avevo sempre preferito cantare, tipi di passatempi decisamente meno inclini alla guerra.
    Per quello, poi, mi ero ritrovata a correre dopo aver scoperto la macabra morte della mia compagna di corso.
    Ero impressionata e estremamente spaventata. Perché, quella creatura, voleva me?
    Non avevo quasi più fiato quando mi fermai, come un topo in trappola, vicino ad uno degli scaffali, pensando che morire sarebbe stata una buona alternativa se quella creatura avesse voluto divertirsi.
    Avevo letto un paio di cose impressionanti a riguardo ed avevo sempre amato la vita. Forse per questo morire rispetto ad essere torturata allegramente sarebbe stato meglio. Uscire col botto piuttosto che gridando e lamentandomi.
    Fortunatamente, però, Zeus mi aveva ascoltata, per una diavolo di volta -si da il caso, letteralmente-.
    Un paio di braccia indubbiamente più forti delle mie o di quei tre -forse quattro, o cinque- ragazzi che avevo avuto mi sollevarono da terra, lasciando che mi rifugiassi in quella presenza d'istinto protettiva, che forse mi aveva strappata dagli artigli della morte per un soffio.
    Mi strinsi forte a quella presenza, sollevando lo sguardo solo qualche attimo dopo che mi ebbe posata sul terreno.
    «Padre degli dei» Borbottai quando vidi il demone dagli occhi gialli e felini dirigersi rapidissimo verso di noi.
    «Ti pare il momento di metterti a dis--» Cominciai, quando poi capii cosa aveva avuto intenzione di fare. Schermare un demone di quella caratura doveva richiedere simboli, simboli che un comune... -notai quella orribile uniforme azzurrina-... impiegato delle pulizie non avrebbe mai potuto conoscere se non fosse stato un cacciatore.
    Restai, con in grandi occhi azzurri, ad osservare il giovane altissimo parlare col demone, immobilizzata, schiacciata contro la parete.

     
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    Sam Winchester
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    C'era un piccolo movimento nell'aria mentre continuavo a tracciare i simboli antidemone per terra e sulle pareti in modo da assicurare a Rachel una adeguata protezione nel caso in cui qualcosa fosse andato storto.
    «Sam»
    Conoscevo quella voce.
    Alzai lo sguardo, posandolo sulla figuretta dai capelli rossi che era uscita dal buio. Yoanne, la mia compagna di corso quando frequentavo il liceo.
    Che cosa ci faceva lì?
    «Sam» ripetè con dolcezza. Sorrideva, ma c'era qualcosa di tremendamente sbagliato nel suo sorriso.
    «Sam, non è colpa tua. Non l'ho fatto per te o per Jess»
    Misi mano alla pistola, puntandola verso di lei.
    No, non l'aveva fatto per me nè per Jess che aveva conosciuto quando avevo indetto una piccola festa per un mio compleanno qualche anno prima. Ma quale motivo, allora?
    Perchè arrivare a stringere un patto con un demone, perchè uccidere?
    Mi voltai appena verso Rachel.
    «La conosci?» chiesi, piano.
    Forse era lì la chiave. O forse no.
    Quello che era certo era che avrei dovuto farmi venire in mente qualcosa: e pure in fretta, grazie
    L'espressione di Yoanne divenne improvvisamente fredda e calcolatrice, quasi come se stessimo parlando di un affare di estrema importanza: ebbi quasi impressione che fosse quello, il suo stato d'animo che l'aveva accompagnata da quando avevamo preso il diploma e non eravamo altro che due ragazzini spensierati.
    «Frequentiamo lo stesso corso di canto» rispose Yoanne, piegando il capo e fissando gli occhi grigi sulla ragazza dietro di me. «Anche se non credo che se lo ricordi, vero Rachel?» disse con una voce insolitamente gentile e stridente con la sua espressione apatica.
    Mi chiesi se Rachel fosse capace di riconoscerla
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    Seguivo febbrilmente con lo sguardo i movimenti del grande ragazzo dinanzi a me mentre qualcosa, al centro del petto, scattò.
    Avevo paura, una sensazione raggelante ed immobilizzante sin dentro alle ossa, qualcosa che mi impedì di muovermi, persino di gridare, lì accucciata in quell'angolo.
    Dopotutto sarebbe stato comprensibile, Maggie mi era morta davanti agli occhi.
    Chi l'avrebbe detto ai suoi? Era figlia di Demetra, certo, ma non l'aveva mai vista. Aveva una famiglia, un cane, un ragazzo, persino delle aspirazioni -per quanto queste sarebbero potute essere fantasiose-.
    Ed era morta.
    Mi passai una mano, tremante, sul viso, per poi ascoltare una voce chiamare il giovane grande uomo dinanzi a me.
    Sam.
    Indubbiamente cacciatore, indubbiamente più avvezzo a quelle strane avventure rispetto a me.
    E fu in quel momento che qualcosa scattò.
    Un demone al servizio d'una ragazza, bellissima, dal viso estremamente familiare. E da qualche parte avrei dovuto averla vista, seppure non avessi avuto idee, sul momento.
    Sarebbe stato semplice che qualcuno, specialmente ragazze, mi passassero inosservate.
    Tornai in piedi, non più schiacciata contro la parete quasi a cercarne il conforto, per poi sollevare il viso, una cascata di capelli fulvi, ramati più che mai sotto le luci dorate della biblioteca.
    Ero una semidea, figlia di Artemide, e non avrei mai potuto farmi mettere i piedi in testa da una ragazzina, che anche fosse stata padrona di demoni.
    «No, non mi ricordo di te» Sentenziai infine, raggiungendo Sam prima di incrociare le braccia, meditando di usare uno dei miei poteri che, tra l'altro, in quel caso sarebbero stati inutili se non uno in particolare: avrei potuto intendere i suoi sentimenti per usarli a mio vantaggio. E dato che il numero massimo di persone con cui avrei potuto farlo simultaneamente era cinque, concentrarmi solo su uno e potenziarlo sarebbe stato un gioco da ragazzi.
     
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    Sam Winchester
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    Impugnai più saldamente la pistola scorgendo nel volto della ragazza che ci stava davanti, e che avevo avuto la presunzione di conoscere bene, un'ombra di rabbia alle parole di Rachel.
    Capivo che fosse devastante il non essere minimamente calcolati, essere del tutto invisibili agli occhi degli altri: lo capivo, davvero, anche se l'essere così freddamente arrabbiati, così vendicativi, non rientrava nelle mie corde.
    «Sai perchè l'ho fatto, Sam?»
    La voce di Yoanne somigliava tremendamente al sibilo velenoso di un serpente. Mi sentii immediatamente un animale in gabbia.
    «Egocentrismo. Quelle ragazze, quelle donne... Ne erano piene. E l'egocentrismo rovina il mondo, no? Jess era bella ma era gentile, lei...» la guardò con disprezzo. «Lei non vale la metà di quanto valesse lei»
    Socchiusi gli occhi, stringendo le labbra. Qualsiasi cosa avessi potuto dire, non avrebbe potuto farle cambiare idea.
    E sebbene rappresentasse uno degli ultimi legami con quella vita normale che avevo sempre cercato, Yoanne non poteva continuare ad essere lasciata libera.
    Speravo solo di non dover arrivare troppo in là.
    «Yoanne puoi... Ancora fermare questa follia» tentai, nervoso. . «Sono sicuro che potremmo trovare una soluzione»
    «Una soluzione, Sammy? E come speri di trovarla?» il sorriso sul volto della mia amica era raggelante.
    Alzò un braccio e vidi gli oggetti nella stanza tremolare prima che una katana - che avevo pensato essere meramente decorativa ma che a quanto pareva non lo era proprio- si staccasse dal muro cui era appesa.
    Il sorriso sul volto di Yoanne si allargò.
    «Questa è la mia soluzione, Sammy»
    E con un suo gesto, la katana si precipitò verso Rachel. Fu in quel momento - forse colpa dell'adrenalina o della consapevolezza che non sussistessero soluzioni- che alzai la pistola e le sparai, in pieno petto, prima di gettarmi su Rachel e buttarla a terra, lasciando che la katana si conficcasse nel pavimento.
    Mi chiesi se Rachel fosse capace di riconoscerla
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    «Sai perchè l'ho fatto, Sam? Egocentrismo. Quelle ragazze, quelle donne... Ne erano piene. E l'egocentrismo rovina il mondo, no? Jess era bella ma era gentile, lei... Lei non vale la metà di quanto valesse lei»
    Avevo sentito molto spesso commenti negativi, sibilati da ragazze come lei.
    Ancora non riuscivo a capire se fosse invidia o stress, fatto sta che oramai vi avevo fatto una certa abitudine. Avrebbero dovuto ammettere che, per quanto noi avessimo potuto essere dure, od averle volutamente ignorate, quelle ragazze non conoscevano alcuna di noi e del mio piccolo gruppo, non avrebbero mai potuto sapere cosa si celasse dietro di noi o, in alternativa, avrebbero dovuto tirare fuori quei caratteri tanto forti sovrastati da anche solo una maggiore cura di loro stesse per evitare d'essere prese di mira.
    Erano state anche loro stesse fautrici di quella indifferenza.
    Per questo il disprezzo di Yoanne mi entrò da un orecchio ed uscì da un altro, tanto quanto non mi restò indifferente il nome di Jess, che non mi era affatto nuovo.
    Ricordai di aver conosciuto e visto al campus una ragazza con quel nome, nonostante molto comune.
    Cosa o che fine avesse fatto non mi riuscì a sfiorare neppure nella mente.
    Guardai Sam e poi Yoanne, pensando a qualcosa,a qualsiasi cosa sarebbe potuto essere in mio potere per sbloccare la situazione.
    Ciò che susseguì fu una dinamica talmente rapida da non permettermi di proseguire oltre.
    Sam tentò di far ragionare la ragazza e quella, in risposta, aizzò una katana appesa al muro contro di me.
    Con puro e reale panico negli occhi notai l'arma dirigersi sicura e rapida verso di me mi sentii immediatamente in trappola. Se fossi uscita dal cerchio lei mi avrebbe uccisa, se fossi rimasta lì sarei morta comunque.
    Un grido sgusciò dalle mie labbra prima che potessi evitare di fermarlo non appena il colpo esplose e, a quel fragore, misi le mani sulle orecchie, coprendole prima di sentirmi sbalzata via.
    La spada oscillava a pochissimi centimetri dal mio viso, adesso a terra, tanto quanto il mio corpo, schiacciato fra il pavimento ed i massicci muscoli di Sam.
    Sentii i miei respiri affannati cercare di scappare da lì.
    Mi alzai di scatto da lui -per quanto, in altre situazioni, avrei indubbiamente più che gradito la sua presenza vicino a me- e corsi ad appiccicarmi contro il muro, osservando, con gli occhi celesti fissi, la figura esanime di Yoanne in una pozza di sangue denso e scuro.
    «Andiamocene, Sam. Andiamocene!» Ripetei, decidendomi a muovere le gambe sino a trascinarlo un po'.
    «Andiamo!» Lo esortai ancora, sull'orlo di una crisi di nervi.
     
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    Sam Winchester
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    Ringraziai di aver hackerato ogni telecamera che guardasse alla biblioteca, mentre mi alzavo ed osservavo il corpo di Yoanne immerso nel suo stesso sangue: persino il demone era scomparso, forse appagato dal ricevere l'anima della ragazza.
    In qualsiasi caso, sapevo che con la morte di Yoanne, il caso si sarebbe chiuso lì.
    Guardai Rachel che mi supplicava di andarcene e mi tolsi la giacca, avvolgendocela: era osì piccola che le faceva quasi da vestito, arrivandole alle coscie.
    La guidai, dunque, con delicatezza fuori da quella biblioteca degli orrori, senza mai guardarmi indietro.
    L'indomani la polizia, trovati i corpi, avrebbe attribuito il tutto ad ignoti che avevano ucciso entrambe le ragazze: una conclusione amara che sul momento non potevo conoscere. Strinsi Rachel, continuando a camminare.
    Si dice che la Morte faccia parte del ciclo vitale e che essa sia istrinsecabilmente legata alla vita stessa. Vero, forse: tuttavia trovavo inappropriato pensare che alla Morte le persone potessero mai abituarsi.
    Perdere qualcuno che si ama o semplicemente veder morire una persona con cui si è condiviso qualcosa, un pezzetto di noi, è sempre un boccone troppo amaro da digerire e io, che Yoanne l'avevo quasi considerata un'amica, ero scosso nell'idea di essere stato costretto ad ucciderla per impedire che ammazzasse anche Rachel.
    Ma non era il momento di pensarci.
    «Ti accompagno» mormorai delicatamente. Era tanto scossa, poveretta! «Hai bisogno di qualcosa di caldo e di un bagno rilassante. Per stanotte posso non andarmene, se la cosa ti fa sentire meglio» e fu una proposta certamente disinteressata, dettata dal puro volere di tenere la mente abbastanza impegnata da scacciare, ancora una volta, il tiepido sorriso di Jess sovrapporsi al suo volto tumefatto dalla morte e dalle torture che quei bastardi le avevano inflitto.
    «Dovresti darmi il tuo indirizzo» aggiunsi dolcemente, guidandola fino alla mia Jeep Renegade auto che avevo comprato con i miei primi stipendi da meccanico e che mi ero portato dietro per ogni evenienza.
    Dean non poteva prestarmi l'Impala, per quella notte, il che la diceva lunga su quanto mio fratello tenesse la mente piacevolmente distratta
    lhAq7mM
     
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    L’immagine di Yvonne ferma in una pozzanghera di sangue denso e scuro tanto quanto quella di Emma, il corpo sul soffitto, l’addome squarciato, sarebbero state visioni che non avrei mai dimenticato.
    Certo, sapevo alla perfezione che non eravamo certo soli in quell’universo che di naturale aveva avuto poco e nulla ma vivere sulla mia pelle una esperienza simile sarebbe stato ciò che di meno mi sarei potuta aspettare in tutta la mia esistenza.
    Per questo, forse per provare a ricostituire quella mia normalità che ancora adesso non riuscivo proprio a raccattare, persa in moltissimi frammenti uno più complicato dell’altro, non potei fare altro che supplicare Sam di andarcene, più in fretta possibile, prima che tutto quello mi avviluppasse e non mi desse più tregua.
    Lui, dopo un attimo di esitazione, si sfilò la giacca e mi ci avvolse dentro. Gli rivolsi uno sguardo grato e mi strinsi in essa più forte che potevo, senza voltarmi indietro, senza pensare ad altro se non a casa.
    Ma se un demone fosse venuto lì?
    Avrei potuto fare la stessa fine di Emma, avrei potuto davvero rischiare qualcosa di simile ed io…
    Presi un respiro profondo, passandomi una mano sul viso, per una volta senza pensare troppo a quale fosse il mio reale stato fisico, troppo spaventata e scossa tanto da sentire ancora il cuore battere ancora più forte.
    «Ti accompagno. Hai bisogno di qualcosa di caldo e di un bagno rilassante. Per stanotte posso non andarmene, se la cosa ti fa sentire meglio» Annuii prontamente. Se mi fossi vista, in circostanze differenti, certamente mi sarei presa per matta. L’avevo fatto senza il fine di provare ad uscirci, elemento decisamente anomalo.
    «Li uccidi se tornano? Ti prego, Sam» Dissi infine, ascoltandomi quasi in lontananza, con la mente esageratamente altrove. Stavo pensando a tutto ciò che di più bello avessi e, sul momento, quasi non riuscii a trovare alcunché: avevo amici? No, un sacco di cani che mi ronzavano attorno per essere popolari. Avevo un amore? Neppure, solo storie brevi dettate da un apprezzamento perlopiù fisico. Avevo famiglia? Tantomeno. Mio padre era sempre fuori e non avevo una madre.
    Cosa, di ciò che chiunque vorrebbe avere a fianco prima di morire, avevo io in realtà? La popolarità mi avrebbe solo reso un articolo sul giornale cittadino ed un nome più grande negli annunci. Niente di più.
    Diedi l’indirizzo a Sam, un quartiere dei più ricchi a New York. Avevo un appartamento grande al settantaduesimo piano di un alto grattacielo, dove vivevo pressoché da sola, essendo mio padre spesso fuori.
     
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    Sam Winchester
    →Human →MUSIC SCHEDA È meglio aver amato e perso piuttosto che mettere linoleum nei vostri salotti. ©

    ''Hai ucciso di nuovo, Sammy? Paparino sarà fiero di te, quando lo saprà'' mi canzonò una vocina nella mia testa: la scacciai con rabbia.
    Papà non era mai stato troppo gentile con me. Era per quello che preferivo la mamma, che non definiva ''sciocchezze'' la mia voglia di essere normale, tranquillo, di avere una famiglia da amare.
    Loro si erano amati ed eravamo nati noi. Dunque perchè negarci questo diritto?
    ''La mamma è morta Sammy'' replicò una vocina che somigliava a quella di Dean, stavolta.
    La scacciai ancora una volta, osservando Rachel stringersi nella mia giacca. Mi fece tenerezza, considerando che aveva appena visto morire una sua cara amica e che avevo dovuto uccidere quella che avevo considerato essere una cara amica unicamente per proteggerla.
    Proporle di stare con lei quella notte fu semplice: era spaventata e dubitavo che avrebbe dormito sonni sereni senza una compagnia che non fosse armata ed esperta del mondo sovrannaturale.
    «Li uccidi se tornano? Ti prego, Sam» mi supplicò come una bambina timorosa del buio.
    Le sorrisi, cercando di apparire rassicurante ed annuii.
    «Ucciderò chiunque voglia farti del male. Non temere» mormorai, ripensando agli occhi di Jess prima che morisse tra le mie braccia. Avevo giurato che nessuno delle persone che amavo avrebbe più avuto quello sguardo di terrore e consapevolezza, ma in quel momento proteggere Rachel mi sembrò un pò come proteggere il fantasma della donna che amavo, la mia Jess, la ragazzina allegra e popolare che mi aveva conquistato con uno sguardo.
    Salimmo in macchina e mi diede l'indirizzo. Mi assicurai di tenere i riscaldamenti accesi prima di partire.
    «Non avrei voluto ucciderla» mormorai. «A quel punto avevo ben poca scelta, però. Perdonami se ti ho spaventata, non avrei voluto» le rivolsi un sorriso breve, anche se triste.
    «Ma cambiamo argomento, ti va? Parlare un pò potrebbe farti bene, anche se non sono così bello da indurre le signorine di buona famiglia a scambiare due parole con me» cercai di sdrammatizzare con un occhiolino.

    lhAq7mM
     
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