I'm glade you came, or maybe not.

Poseidone e Percy

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    PERCY HORAN
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    Ero stravolto quella mattina , mi svegliai scendendo dal mio letto con l'aspetto simile a quello di uno zombie, ma niente di nuovo, le ore della mattina erano le più insopportabili per me, svegliarsi presto dopo aver passato una notte quasi insonne e subito doversi preparare a svolgere chissà quale compito che mi sarebbe stato affidato . Erano anni che frequentavo il campus, e più passava il tempo più sembravano approfittarsene di me li dentro, ero diventato persino tipo uno di quei "tutor" dei college alla quale venivano affidate matricole. Era esattamente quello che era successo, da un paio di giorni mi era stata affidata una ragazzina, piuttosto piccola, almeno di aspetto sembrava essere piccola, non mi ero soffermato a chiederle l'età a dire il vero,forse nemmeno mi importava. Non ricordavo nemmeno il suo nome, so solo che il mio compito era quella di farla orientare al meglio all'interno del campus, e che io ero praticamente diventato il suo punto di riferimento da chiamare ogni qualvolta avesse bisogno di qualcosa. Per fortuna non mi era capitata una di quelle rompiscatole che ti tartassano di domande, lei mi era sembrata da subito piuttosto tranquilla e anche un pò timida.
    Quella mattina tecnicamente dovevo allenarmi , o almeno quelli erano i piani iniziali. Mi infilai come al solito nella doccia come ogni mattina, lasciando scorrere quel getto di acqua calda sulla mia testa che mi rilassava parecchio, molto utile prima di fare spiacevoli incontri , dato che erano poche le persone con la quale andavo d'accordo li dentro. Uscii dalla doccia con la fronte corrugata , avevo una strana sensazione da quella notte , per niente bella a dire il vero, ma non mi lasciai influenzare più di tanto, la giornata era già abbastanza pensate senza che io mi mettessi a farmi stupide paranoie per una misera sensazione. Indossai quello che ci era stato imposto di indossare per l'allenamento, una specie di tuta , azzurra nel mio caso quasi dello stesso colore azzurro dei miei occhi, come se lo avessero fatta su misura per me, e poi uscii pronto a recarmi nell'aula. Ancora prima di entrare , sentii un ragazzo chiamarmi per nome, il mio nome per intero oltre tutto, e fu quello l'unico motivo per il quale mi voltai a guardarlo, fulminandolo con lo sguardo "Perseo!" continuava ad urlare - Percy maledizione... PERCY- dissi cercando di non perdere subito la pazienza, così feci un forte e rumoroso sospiro aspettando che il ragazzo dicesse quello che aveva da dirmi "Ti aspettano all'arena". Non risposi subito, mi limitai a pensare a chi potesse avermi chiamato in arena quella mattina così presto, ma non mi venne in mente nessun di particolare -Chi?- domandai al ragazzo guardandolo dall'alto perchè era piuttosto basso " non lo so, mi hanno solo chiesto di venirti a chiamare" annuii al ragazzo per poi guardare l'orario e decidere di andare a vedere chi avesse chiesto di me. Ero fin troppo curioso di natura, probabilmente se non fossi andato avrei pensato tutto il giorno a chi potesse aver chiesto di me, quindi la scelta migliore era quella di recarmi nel luogo di incontro.
    Entrai così nell'arena , guardandomi intorno, non riuscendo a vedere nessuno, giuro che se quel ragazzino si era preso gioco di me lo avrei cercato e preso a calci. Decisi comunque di aspettare sedendomi su una delle gradinate riservate alla platea per assistere agli scontri, ora completamente vuote dato che l'arena in teoria era chiusa.
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    Era un tempo uggioso, uggioso ma mio prediletto per uscire.
    In realtà quella mattinata mi aveva portato consiglio. Avevo riflettuto molto, prima di prendere la decisione di vistare il Campus, luogo addetto alla formazione culturale e fisica dei figli degli Dei.
    In un certo senso mi sentivo riempito di tristezza ed orgoglio. Stramba dicotomia, direte voi. Certamente! Ma il nostro orgoglio, la nostra forza, ci aveva elevati al cielo. E proprio questa sperai fosse stata trasmessa ai nostri figli. Figli che sapevo di avere, che sapevo essere sparsi per il mondo. Forse, in un futuro neanche troppo lontano, mi sarei riconciliato a loro.
    E quindi era stata la più pura curiosità nello scoprire un modo che mi sfiorava ma che non avevo mai visto, ad avermi indotto a visitare per la prima volta il Campus per i giovani semidei.
    Mi ero alzato dal letto, dopo un sonno turbato da incubi antichi come il tempo, tanto quanto lo ero io, e mi ero diretto a passo sicuro verso la doccia della mia splendida abitazione mortale. Mi piaceva, era sul mare, il mio amore sopra tutti e, nonostante le temperature, nonostante ogni turbamento, quello era lì, era sempre lì a rassicurare il mio animo travagliato.
    Lasciai scorrere l'acqua sul mio corpo con fare riflessivo, pensando a cosa e chi avrei potuto incontrare in quel luogo che mi apprestavo a visitare con una certa curiosità.
    Una volta uscito, beato dalla sensazione che l'acqua calda infondeva al mio corpo, mi vestii indossando un paio di pantaloni scuri, una maglietta color blu notte, su una giacca ed un cappotto di tonalità altrettanto poco brillanti. Adoravo passare inosservato, preferivo essere ai margini, agire quando i momenti erano propizi ed opportuni.
    Presi dunque quella che i mortali chiamavano metropolitana e mi diressi verso il campus, struttura imponente e ben organizzata, la cui cosiddetta segreteria mi suggerì di dovermi rivolgere in quel punto, per capire dove si trovassero perlomeno alcuni dei miei figli. Non era stata noncuranza, lasciarli. Era stata una questione differente. Vegliavo su di loro, ne conoscevo il nome, ne conoscevo la vita e, sotto gran parte delle circostanze, li avrei protetti. Chiunque avesse fatto loro del male, sarebbe stato ucciso. Ero un dio, non negoziavo con nessuno. Se fosse stata una misera creatura umana, o una altrettanto misera creatura non umana, essa avrebbe dovuto pagarne le conseguenze.
    Se fossi stato vicino a loro, sarebbe stato più semplice perderli.
    Avevo molti amici ma altrettanti nemici, preferivo vivere da solo, entrare a contatto soltanto con i miei fratelli, nei limiti del possibile.
    Il primo di cui feci il nome, il primo che sapevo per certo vivere a New York, fu proprio Perseo Horan. L'avrebbero chiamato dal dormitorio e, nell'attesa, mi dissero di recarmi nell'Arena, luogo dedito per l'appunto ai combattimenti. Mi sarebbe piaciuto vedere mio figlio combattere nell'arte suprema della Guerra. Mi sarebbe davvero piaciuto. Allenarsi era d'obbligo e, strano a sentirsi, ma anche le divinità dovevano farlo. Specialmente chi, come me, era una delle più antiche in assoluto.
    E così attesi, attesi in quell'arena vuota e silenziosa, sino a quando una successione di passi su quel territorio friabile e sabbioso, non mi strapparono da ogni pensiero. Eccolo lì, mio figlio, Perseo Horan.
    Aveva bei lineamenti scolpiti, capelli corti e scuri, occhi azzurri come il mare, un po' meno tempestosi, labbra piene, corporatura magra ma che, con un minimo d'allenamento, sarebbe potuta diventare potenzialmente eccelsa, alta statura.
    Mi alzai dunque da uno dei posti che decoravano le tribune in cui, in epoca romana, soltanto i più ricchi avrebbero potuto prendervi posto, per poi avvicinarmi alla sua figura con calma, scendendo ogni gradino sino a giungere nel cuore dell'arena.
    «E dunque, tu devi essere Perseo.» Esordii in tono pacato, paziente, tranquillo, non supponente.
     
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  3. rönny
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    Un forte e rumoroso sospiro echeggiò all'interno dell'arena,ero curioso allo stesso tempo anche scocciato , ma questa non era una novità. Non ero un tipo per niente paziente, non mi piaceva aspettare, ma qualcosa mi spinse a rimanere in quel luogo , non so bene cosa di preciso, ma sentivo che sarei dovuto rimanere li. Me ne stavo ancora seduto su uno di quei gradoni nella quale la gente si sedeva di solito per assistere allo spettacolo, per così dire. Mi sdraiai poi a panica in su per guardare il cielo completamente nuvolo , da un momento all'altro avrebbe sicuramente iniziato a piovere, non che fosse un particolare problema per me. Accanto a me, sul terreno , una piccola pozzanghera d'acqua probabilmente rimasta li dalla notte, mossi appena la mano cominciando a giocare con i miei poteri, il fatto di controllarli da ormai un paio di anni mi rendeva decisamente più sicuro di me. Le davo varie forme, sbizzarrivo la mia fantasia, in qualche modo era una cosa che mi rilassava, soprattutto poterlo fare con tanta tranquillità, perchè li dentro eravamo tutti uguali. Una voce maschile, sconosciuta ma allo stesso tempo così familiare al mio udito , tanto da confondermi quasi, catturò la mia attenzione chiamandomi per nome. Chiusi qualche istante gli occhi rassegnato «Percy» corressi subito l'uomo che aveva usato per intero il mio nome. Mi tirai su con la schiena , per poter guardare in faccia la persona che mi aveva chiamato li. Osservai l'uomo, quasi stessi studiando la sua figura, che così come la sua voce, mi ricordava qualcosa, sembrava essermi familiare sebbene non lo avessi mai visto. Mi alzai in piedi , smettendo da subito di giocare con l'acqua e scendendo i gradoni per arrivare al centro dell'arena per raggiungere l'uomo. Non mi ci volle molto a fare due più due, conosceva il mio nome, la sua voce era familiare, il suo aspetto in qualche modo mi ricordava qualcosa. Un piccolo ghigno si fece largo sulle mie labbra che si incurvarono appena da un lato. Un ghigno quasi sarcastico e sorpreso nell'incontrare quello che doveva essere mio padre. « Proprio ora che credevo che tutta questa storia dell'essere il figlio di Poseidone fosse solo una falsa » dissi con fare sarcastico avvicinandomi a lui.Si diceva che gli dei vegliassero sempre sui loro figli, rimanendo però sempre nascosti, al disopra di tutto e di tutti, per proteggerci. Si diceva anche che loro conoscessero tutto di noi, aspetto, carattere, ogni nostra azione del passato. Probabilmente allora non sarebbe stato affatto fiero di me, il ragazzo che si era sempre e troppo spesso cacciato nei guai, sempre troppo impulsivo e con un pessimo carattere. Se conosceva tutto di me , il fatto che fossi stato in coma dei mesi per colpa della droga, mi chiedevo a cosa mi servisse essere un semidio se l'immortalità non mi era dovuta nemmeno in parte. « A cosa devo l'onore » dissi sempre con quella punta di sarcasmo quasi fastidiosa. Infondo non lo conoscevo nemmeno, avrei forse dovuto dargli una possibilità? probabile, ma ovviamente avrei prima voluto delle spiegazioni. Misi le mani nelle tasche dei Jeans, tenendo lo sguardo fisso nel suo, troppo orgoglioso per distoglierlo e far sembrare che fossi debole anche solo un istante.
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    «Percy» pronunciò il fanciullo, quella creatura che doveva essere indubbiamente uno dei miei figli, la quale fui convinto riuscì a captare la mia presenza, a riconoscermi senza che dovessi necessariamente perdermi in lunghi convenevoli. Si concesse del tempo per osservarmi, che gli concessi senza la minima riserva, lasciando che capisse chi fossi, che cominciasse a conoscermi. Inclinai leggermente il viso, quasi vagamente incuriosito dal suo comportamento così analitico.
    Un ironico sorriso si fece strada sul suo volto per metà mortale e per metà divino. « Proprio ora che credevo che tutta questa storia dell'essere il figlio di Poseidone fosse solo una falsa » Disse sarcastico, avvicinandosi alla mia figura che, tranquillamente, continuava ad assistere alla sua presenza, silenziosa ed attenta. Anche io lo stavo guardando, stavo cercando di leggere l'anima, quell'anima dal tipico fervore giovanile, l'assolutismo morale che caratterizzava ogni ragazzo.
    Il suo sguardo si velò di pensieri che mi incuriosì conoscere e che, nonostante tutto, non avrei chiesto, per non turbare una quiete già precaria. Sarebbe stato complesso farmi perdere la pazienza e dubitavo seriamente che Percy ci sarebbe riuscito, semplicemente perchè avevo imparato a controllare la mia ira, che a volte aveva avuto gravissimi risvolti sulle vite mortali e che, proprio in quel luogo, non avrebbe potuto averne. Ero tranquillo e pronto a dare ogni spiegazione lui avrebbe voluto. « A cosa devo l'onore » Mi domandò senza distogliere lo sguardo dal mio, ostentando un coraggio fuori dal comune, di cui fui estremamente orgoglioso. L'accenno d'un sorriso si aprì dunque sul mio volto, lasciando che lo osservassi più da vicino.
    « La mia curiosità sul conoscere questo luogo diventato quasi leggendario, mi ha spinto a giungere qui, nonostante, forse, non avrei dovuto. » Ammisi, rispondendo così al suo quesito sul perchè recarmi proprio in quel luogo. « Sei mio figlio, Percy, era giusto che incontrassi, perlomeno una volta, la tua visione, nonostante ti conosca sin da quando sei stato un esserino non più grande d'una mano.» Conclusi, come se fosse ciò che di più ovvio esisteva al mondo.
    Mi domandai se avesse cominciato a conoscere i propri poteri, a sfruttarli ed a quale scopo.
     
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